lunedì 30 luglio 2012

Integrazione sociosanitaria - Project work

INTEGRAZIONE TRA LE FIGURE DI OPERATORE SOCIO-SANITARIO E INFERMIERI
Inserimento dell’OPERATORE SOCIO-SANITARIO: una proposta di progetto.

Corso "IL Middle Managemente nei servizi alla persona" 
Project work a cura di  Bold Mariana - Gambino Giuseppina - Labidi Mouna.

INTRODUZIONE

In una struttura organizzativa l’integrazione tra le varie figure professionali è alla base del successo e del raggiungimento degli obiettivi nell’ambito di un sistema di qualità.
L’obiettivo comune delle strutture socio-sanitarie è la tutela dell’individuo considerando la centralità e la totalità della persona (sfera bio-psico-sociale).
L’Operatore Socio-Sanitario (OSS) è una figura il cui ingresso nei presidi e nelle unità operative va predisposto e realizzato con molta cura.
Egli, infatti, espleta un ruolo complesso e la sua introduzione può incidere sulle attività svolte dall’infermiere.
Ecco, dunque, la necessità di un inserimento della cui programmazione, attuazione, e valutazione il coordinatore può e deve dare un contributo decisivo.
L’inserimento di operatori di supporto, in particolare OSS, può avere il massimo successo se si svolge sulla base di un progetto che miri alla:
Ø  realizzazione di determinati presupposti di natura culturale e organizzativa;
Ø  stesura e implementazione di un’apposita procedura di inserimento, preceduta da alcune operazioni preliminari;
Ø  verifica a distanza dei risultati dell’inserimento in termini di qualità delle prestazioni e di soddisfazione degli utenti e degli operatori.

COMPONENTI DEL PROGETTO DI INSERIMENTO

1.      PRESUPPOSTI CULTURALI

Ø  Il primo presupposto è una corretta considerazione del ruolo dell’OSS e di quello dell’infermiere. Sono necessari uno o più incontri di formazione-informazione con l’eventuale distribuzione e commento dei profili professionali - affinché tutto il gruppo coinvolto arrivi a considerare  l’OSS come un operatore che non è un puro esecutore di ordini, ma ha degli spazi di autonomia. Infatti il profilo di questa figura elenca le sue attività usando - se ho contato bene - 12 verbi che indicano attività autonome (assiste, realizza, cura, mette in atto ecc.), contro 8 verbi che indicano collaborazione con il personale sanitario e sociale (coadiuva, collabora, concorre…).
Ø  Un altro presupposto, strettamente collegato al precedente, è che l’OSS, al pari di ogni altra figura professionale, venga considerato come una risorsa da valorizzare. Una sua piena valorizzazione richiede un clima non verticistico, ma di responsabilizzazione, partecipazione e collaborazione in vista di obiettivi comuni.
Ø  Un terzo e ultimo presupposto culturale è la capacità del gruppo di programmare e poi valutare questo cambiamento organizzativo nell’ottica del miglioramento o almeno del mantenimento - della qualità dell’assistenza infermieristica e dei servizi di supporto.

2.      PROCEDURE PER L’INSERIMENTO DEGLI OSS

Ci sono varie forme di procedura, la più completa delle quali è senz’altro quella che si ispira ai concetti e alla metodologia ISO 9000  ed è costituita da tre parti essenziali:  obiettivi, accoglimento e orientamento, inserimento.

Obiettivi dell’inserimento

Sono quelli di:
Ø  ottimizzare il tempo necessario ad apprendere conoscenze e abilità necessarie nella  U.O.;
Ø  garantire il mantenimento o il miglioramento del livello di sicurezza e di qualità dell’assistenza agli utenti;
Ø  far sentire a proprio agio sia gli infermieri sia gli OSS, affinché, entrambi,si percepiscano come risorse importanti.

Accoglimento e orientamento

Il coordinatore dovrà svolgere le attività di seguito elencate:
Ø  Illustrazione di:
·     finalità e caratteristiche dell’U.O. (tipologia dei pazienti o degli ospiti, decorso tipico della degenza, orari della giornata…);
·  organizzazione interna (suddivisione del lavoro, modelli di servizio, piano di attività, documentazione in uso ecc.);
·        rischi professionali presenti in essa;
·        principali norme regolamentari e deontologiche da rispettare al suo interno;
·        illustrazione dei fattori di valutazione al termine dell’inserimento,
Ø  Visita guidata ai locali e illustrazione delle attrezzature, con particolare riferimento a quelle relative alla sicurezza (estintori, presidi di protezione individuale…) e a quelle che l’OSS dovrà utilizzare nel suo lavoro quotidiano.
Ø  Presentazione degli operatori delle diverse qualifiche e dei rispettivi ruoli.

Inserimento

Che avverrà attraverso:
Ø  L’analisi  dei bisogni di apprendimento accertata attraverso una lista di domande scritte o un colloquio, in cui  formulare degli obiettivi di apprendimento.
Ø  L’istruzione degli OSS per il conseguimento degli obiettivi stabiliti,  per quale è necessario fissare contenuti, tempi e metodi.
Ø  La valutazione dell’apprendimento con responsabilità, criteri e tempi prestabiliti.

3.      VERIFICA DELLA QUALITA’ DELLE PRESTAZIONI E DELLA SODDISFAZIONE DEGLI UTENTI E DEGLI OPERATORI

L’inserimento degli OSS è oggi un’ innovazione, tanto più rilevante nel caso in cui questi operatori siano chiamati ad occupare posti precedentemente occupati da infermieri. È dunque molto importante verificarne l’impatto sull’assistenza, procedendo con la stesura di questionari dalla cui lettura sia possibile evincere:
Ø  Il grado di soddisfazione dell’ utenza in rapporto all’assistenza erogata e
         alla tempestività della risposta alle chiamate;
Ø  Il grado di soddisfazione degli infermieri in rapporto alle seguenti attività degli OSS;
Ø  Il grado di soddisfazione degli OSS in rapporto all’orientamento nell’U.O. e alla guida da parte dell’infermiere preposto
È importante che nel questionario rivolto agli infermieri siano inserite anche domande finalizzate a rilevare la loro percezione delle differenze rispetto ai temi della sicurezza e della qualità prima e dopo l’inserimento degli OSS. Ogni operatore deve, inoltre, sentirsi coinvolto nel processo di miglioramento della qualità dell’assistenza e del clima interno al gruppo di lavoro, è perciò chiamato in prima persona a fornire suggerimenti e proposte.

CONCLUSIONI

Per concludere, l’inserimento di nuovi operatori è sempre un processo di una certa complessità. Lo è ancora di più in questo caso poiché riguarda operatori il cui ingresso nel sistema è suscettibile di modificare l’operatività di altri professionisti come gli infermieri. Si tratta di un processo che però comporta dei vantaggi: uno dovrebbe essere quello di indurre gli infermieri ad acquisire maggiori capacità di diagnosi, relazione interpersonale, programmazione , gestione, valutazione e leadership.
L’OSS diventa a pieno titolo componente dell’èquipe multidisciplinare rafforzando il concetto di lavoro di squadra, per fronteggiare, insieme agli altri operatori, la complessità assistenziale.
Il ruolo di coordinamento viene reso più complesso dall’introduzione di una nuova figura e dalla necessità che le relazioni tra essa e le figure già esistenti siano corrette e positive in vista degli obiettivi comuni.
Il Coordinatore può e deve fare molto per ottimizzare l’intero processo e per creare o mantenere un clima che consenta la piena valorizzazione di tutti gli operatori coinvolti, ciascuno al proprio livello e secondo le proprie competenze.

Foto riunione PAI con tutte le figure professionali   (MEDICO, RAA, INFERMIERE, FISIOTERAPISTA, ANIMATRICE, OSS)
  
Bibliografia
·        “Valutare il personale” di Maria Giovanna Rotondi Ed. IPSOA
·        “Persona e Organizzazione” di Paolo Rotondi e Alessandra Saggin Ed. Mc Graw Hill
·        Management Infermieristico n 4/2001 “L’inserimento del personale di supporto” di Carlo Calamandrei

giovedì 21 giugno 2012

Lavoro di cura agli anziani e non autosufficienti (Francesca Carlucci)

 IL RUOLO DEL TERZO SETTORE NELA COSTRUZIONE DI CONNESSIONI VIRTUOSE

RUOLO E PROSPETTIVE DELL’OPERATORE SOCIALE E SOCIOSANITARIO


Intervento della d.ssa Francesca Carlucci -I°Convegno Anoss - Sez. Basilicata  “ La responsabilità della cura ” del 5 giugno 2012 - Matera


Buongiorno, sono  Francesca Carlucci, biologa, mi occupo della formazione della figura emergente  dell’operatore socio sanitario. Il lavoro che andrò a leggervi è stato frutto di una ricerca sull’evoluzione e la riorganizzazione dei servizi sanitari e socio assistenziali rivolti agli anziani e ai non autosufficienti ed è proprio da quest’analisi che si evince la necessità di una figura qualificata per soddisfare i bisogni primari di cura della persona in cooperazione con medici, infermieri ed altri professionisti della salute.
I mutamenti intervenuti nel Paese negli ultimi decenni quali l’aumento della speranza di vita, il miglioramento delle condizioni di salute ma anche l’invecchiamento della popolazione e l’espandersi di forme di disagio e di fragilità sociale rendono indispensabile pensare alla riorganizzazione sanitaria e socio-assistenziale.
Dalle ultime indagini Istat si individua che in Italia sono 2.600.000 le persone in condizioni di disabilità di cui 2.000.000 sono anziani e che in una famiglia su dieci vive un componente con disabilità. Tradizionalmente in Italia chi si prendeva cura degli anziani e delle persone non autosufficienti erano le famiglie, principalmente le donne: madri, mogli e figlie. Questa è una rete ormai sottile che risente della fragilità dell’attuale struttura familiare.
 Nell’ultimo decennio infatti sono le assistenti familiari le risorse più richieste  dalle famiglie italiane. Dagli ultimi dati dell’Istituto di Ricerca Sociale si nota come sono 774.000 le assistenti familiari di cui 700.000 sono straniere. Complici di tali nuove tendenze dell’ultimo decennio sono alcuni fenomeni come l’allargamento dell’Unione Europea  e la progressiva accettazione delle famiglie italiane della badante come risposta alla necessità di cura. Occorre prendere atto del mutamento avvenuto e che continua in modo dinamico. Nella definizione dell’assistente familiare si è evidenziata la necessità di una figura con un profilo professionale che meglio rispondesse, rispetto alla badante, all’evoluzione dei servizi alla persona, intesa nella centralità e globalità dei suoi bisogni.
L’obiettivo è formare un nuovo operatore socio sanitario qualificato e versatile in grado di muoversi nei contesti sia sociale che sanitario. E’ nata la necessità di formare ed inserire nuove figure che collaborino con gli infermieri e gli altri professionisti della salute. Pertanto l’OSS nasce per dare una risposta qualificata poiché può svolgere attività indirizzate a soddisfare i bisogni primari, nell’ambito delle proprie aree di competenza, e fornire il benessere e l’autonomia della persona. Il cittadino ha sempre più necessità di trovare adeguate risposte ai propri bisogni assistenziali di base, che possono essere ora esaudite dall’OSS. A questo proposito è necessario affrontare il percorso di qualificazione dei servizi ed attività sanitarie e socio-assistenziali, sia in termini di quantità che qualità dei servizi offerti a supporto dell’anziano e del non autosufficiente.
Occorre investire molto sull’integrazione tra servizi sanitari e socio sanitari assistenziali, in particolare nelle regioni dove si è fatto sicuramente meno, anche rispetto alla domiciliarità che risulta carente, tutto questo per conseguire l’obbiettivo di mantenere disabili e persone non autosufficienti il più  possibile nel loro ambiente di vita confortevole.
E’imprescindibile che ogni processo di riorganizzazione nel Welfare socio sanitario assistenziale si mantenga coerente con alcune premesse chiave:
·       la centralità della persona e della sua famiglia
·       la priorità delle risorse umane con una particolare attenzione al ruolo del terzo settore sempre più determinante ed è in questo contesto che va inquadrato il percorso della figura professionale dell’operatore socio sanitario.
In alcune realtà positivi processi di riforma sono già stati messi in atto. Nuove offerte di servizi territoriali e strutture assistenziali stanno cambiando concretamente il nostro sistema di cura che richiede più cooperazione , integrazione, lavoro di squadra, capacità di definire progetti di cura e assistenza multidisciplinare e condivisione di conoscenze, competenze e responsabilità. Questi cambiamenti innovativi  richiedono coinvolgimento e motivato apporto di tutti i professionisti e operatori che lavorano nel sistema salute con impegno, conoscenza, etica e responsabilità.
Alla luce delle trasformazioni demografiche in corso che hanno determinato un cambiamento nella richiesta di cura specialmente per anziani e non autosufficienti è evidente la potenzialità del terzo settore nella rifondazione del nostro sistema sociale visto che oggi associazioni, gruppi di volontariato, imprese sociali e fondazioni si caricano dei bisogni dei singoli e trovano soluzioni innovative , tutto ciò trova conferma nel Libro Bianco del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul futuro modello sociale del 2009.
Altrettanto evidente è il ruolo strategico del mondo cooperativo, sintesi tra sviluppo imprenditoriale, economico e sociale. Nell’ambito dei servizi alla popolazione non autosufficiente in Italia significativo è il ruolo della cooperazione sociale che sin dagli anni ’80 si è sempre battuta per dare dignità sociale e professionale al lavoro di cura privato. La cooperativa sociale deve  promuovere una progettualità dei servizi domiciliari per la definizione di specifici profili professionali, per la formazione e la qualificazione degli operatori dell’assistenza, al fine di creare connessioni virtuose con il Welfare locale assumendo dunque un ruolo centrale sia nell’area delle politiche a supporto della vita autonoma sia in quelle delle politiche attive del lavoro.
Con la prima Legge Quadro (l.328/2000) approvata nel 2000 viene riformata l’assistenza alle persone non autosufficienti e viene attribuita fondamentale importanza agli interventi a sostegno delle responsabilità familiari  e a favorire la permanenza a domicilio delle persone bisognose di cure proponendosi di rinforzare il ruolo del terzo settore nell’ambito della partecipazione alla programmazione delle politiche sociali.
Tale legge viene ulteriormente confermata anni dopo da Fabrizio Tagliabue, dirigente di Federsolidarietà Lombardia,  il quale suggeriva che la cooperazione sociale poteva assumere il ruolo di cerniera operativa tra servizi sociali e mercato privato del lavoro.
Secondo le prospettive indicate le cooperative sociali possono affiancare e accompagnare i principali protagonisti del lavoro privato di cura seguendo quattro possibili modelli di gestione: cooperative di operatori sanitari, cooperative di famiglie utenti, intermediazione di lavoro e sportelli di assistenza familiare.
Tutte le soluzioni non possono prescindere da una stretta relazione con l’ente locale e dal lavoro di rete, indispensabili per coinvolgere nei processi di cura tutte le risorse che la comunità locale rende disponibili. Un ‘ipotesi potrebbe essere quella di supporto all’incrocio tra domanda e offerta di lavoro di cura ma ancor di più l’accompagnamento dentro un contesto relazionale nuovo che si instaura tra i due soggetti, la famiglia e l’operatore sanitario, valorizzando le responsabilità e le capacità dei diversi soggetti che mediante la negoziazione realizzano un prodotto sociale  all’avanguardia.
Si può quindi affermare che nell’ambito del terzo settore la componente che si è spesa meglio nei servizi dell’assistenza privata è certamente la cooperativa sociale, pertanto si può parlare di soggetti giuridici con le caratteristiche più adatte a gestire questo servizio. Attività principale è quella di raccogliere e gestire un patrimonio deputato al perseguimento di progetti per il bene comune con la conoscenza approfondita di una determinata comunità  e del suo territorio.
Vi sono dunque buone speranze che tali soggetti possano assumere un ruolo rilevante nella gestione delle problematiche connesse all’invecchiamento e alla non autosufficienza.
E’ un percorso innovativo, graduale e necessario che ha bisogno di una particolare attenzione e sensibilità dato il cambiamento culturale che si sta vivendo; occorre programmazione per valutare i fabbisogni del territorio, stabilizzazione per evitare spreco di risorse, occorre progettare modelli di assistenza che si basino su piani di lavoro e metodologie,  in modo tale da consentire un buon risultato rispetto agli obbiettivi che il progetto si è posto.
E’ pertanto necessario individuare, applicare, sperimentare e diffondere buoni modelli organizzativi, di efficace governo clinico assistenziale e di integrazione multidisciplinare per l’assistenza alla persona, accompagnati da un adeguato percorso di valorizzazione del ruolo, delle prestazioni e delle competenze di professionisti e operatori.
L’obiettivo deve essere quello di realizzare sul territorio nuove modalità di presa in carico della persona garantendo la continuità assistenziale attraverso l’integrazione tra le diverse figure professionali che operano sul territorio: medici, infermieri, nutrizionisti, fisioterapisti, operatori socio sanitari e altre figure professionali.
Una formazione mirata e un aggiornamento concreto e pratico rappresentano per gli OSS un elemento cardine del sistema di cura agli anziani e ai non autosufficienti per il mantenimento e l’innovazione continua di questa figura che entra a far parte dei piani di lavoro e che è una risorsa da valorizzare per il bene comune. Volendo dare un impulso concreto ad un progetto di riorganizzazione di inserimento degli OSS riteniamo che si debba agire su alcuni punti:
·       rilevare il numero di OSS oggi realmente qualificati
·       monitorare, uniformare e migliorare l’attività formativa teorica ma soprattutto pratica in strutture adeguate in un’ottica di complessità crescente del sistema salute e di fronte ad una richiesta di innalzamento qualitativo dei servizi
·       attivare un particolare osservatorio dell’OSS nel terzo settore nel variegato mondo dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti
·       valorizzare un corretto utilizzo delle risorse OSS per il miglioramento funzionale dei servizi alla persona
Con riferimento a questo scenario si intravede concretamente l’inserimento dell’operatore socio sanitario nella equipe  sociosanitaria di assistenza alla persona. Si può concludere dunque che è confermata la necessità della figura qualificata dell’operatore socio sanitario che meglio risponda all’evoluzione dei servizi alla persona intesa nella centralità e globalità della sua persona.


 

Formazione Socio Sanitaria: Esperienze e Prospettive (Concetta Rizzo -OSS)


Buon giorno a tutti,  mi chiamo Concetta  Rizzo e sono un Operatore Socio Sanitario.
La mia scelta di diventare Operatore Socio Sanitario,è maturata a seguito di un’ esperienza lavorativa, iniziata più per necessità che per passione, avvenuta presso un Centro Residenziale per Disabili.
Sin dal primo approccio diretto con utenti in difficoltà,capii che assistere disabili, anziani non autosufficienti, pazienti psichiatrici, malati terminali, prendersi cura di loro quotidianamente e nel tempo, richiede competenza e professionalità sin dalle prestazioni di base.
Infatti, i gesti necessari per aiutare gli utenti nelle funzioni basilari di vita quotidiana,come lavarsi, vestirsi, muoversi, considerate semplici e talvolta persino sottovalutate, in realtà richiedono molta cura e attenzione per essere investiti di senso e realizzati con coscienza e responsabilità.
Da qui la necessità di formarmi, il desiderio di prendersi cura degli altri e possedere quelle doti umane che rendono possibile prestare assistenza, non erano sufficienti per poter svolgere il ruolo di Operatore Socio Sanitario.
Con la formazione ho appreso che l’ Operatore Socio Sanitario:  
-          Deve SAPERE, ovvero saper conoscere le problematiche del disagio sociale e le tecniche di intervento nelle quali sono parte integrante la conoscenza delle principali patologie fisiche, psichiche e sociali;
E’ di fondamentale importanza la sua capacità di relazione umana con la persona che, in situazione di difficoltà, ha anche il bisogno di accoglienza, sostegno e comprensione;
-          Deve SAPER FARE, ossia saper lavorare in un  gruppo nel quale confluiscono più professionalità, saper documentare il proprio lavoro in modo utile anche per gli altri operatori;
-           Deve SAPER ESSERE persona che  ascolta un’altra persona attraverso una comunicazione attiva ed empatica, con la comprensione dei bisogni dell’utente, della sua famiglia  e delle figure importanti della sua vita, inoltre,
-          Deve SAPER DIVENIRE mezzo per raggiungere un fine , ovvero  evitare il disagio, sia fisico che psichico, o di ridurlo.
Acquisire queste conoscenze durante il corso di formazione professionale,mi ha permesso di integrarmi da subito nella realtà lavorativa  infatti,  durante il periodo del tirocinio è possibile applicare quanto appreso e, con il supporto del personale di riferimento,: è stato possibile cogliere le esigenze del singolo utente, valorizzando e  rafforzando  le loro capacità residue ai fini del mantenimento delle loro  abilità.
Si ha la possibilità di constatare  l’importanza del lavoro in equipe, delle risorse e ausili forniti dalla struttura ospitante, utili a garantire la qualità dell’assistenza nei confronti dell’utenza e di conseguenza delle difficoltà riscontrate in mancanza di esse             
Alla fine del percorso formativo, ho constatato che l’Operatore Socio Sanitario occupa una posizione relazionale strategica; da un lato è a stretto contatto con il paziente e i suoi familiari, dall’altro collabora con l’infermiere  e con altre figure sanitarie e socio sanitarie.


Per tanto, l’integrazione dell’Operatore Socio Sanitario, all’interno di un equipe multidisciplinare in cui diversi i attori  entrano in gioco con le proprie competenze e i propri livelli di responsabilità, deve essere considerata una risorsa da valorizzare infatti l’OSS: .
OPERA in quanto può agire in autonomia
COOPERA in quanto svolge solo parte dell’attività alle quali concorre con altri professionisti;
COLLABORA in quanto svolge attività su precise indicazioni dei professionisti.
Per tali ragioni,non possiamo essere considerati una figura da strumentalizzare alla quale demandare compiti  meramente esecutivi e sminuendone il valore professionale.
Se tali esperienze sono maturate e consolidate in alcune realtà regionali, ci si augura che anche nella nostra realtà ci siano le possibilità per riconoscere e rispettare sempre più il prezioso ruolo dell’Operatore Socio Sanitario e potremo così finalmente  parlare di un COOPERATORE SOCIO SANITARIO a tutti gli effetti.
Non dimentichiamo che l’Operatore Socio Sanitario   nasce dall’esigenza di dover colmare la carenza di infermieri dando loro la possibilità di dedicarsi ai compiti propri del nuovo profilo e determinando in questo modo  una serie di attività correlate fra loro mirando all’obiettivo specifico, ovvero: garantire un assistenza di qualità centrata sull’utente.
Per cui, come tutte le figure professionali, anche l’Operatore Socio Sanitario deve assumersi l’onere di aggiornare le proprie conoscenze; la formazione continua ci permette di arricchire le competenze  necessarie alla gestione degli utenti.
In  considerazione dei nuovi bisogni assistenziali richiesti dal  cittadino occorre rispondere con prestazioni integrate tra i servizi sanitari, socio- sanitari  e domiciliari  garantendo una concreta collaborazione professionale, compreso l’Operatore Socio Sanitario,al fine di offrire un’assistenza efficace.  
Qualche anno fa,   ho iniziato a percorrere questa strada non sapendo cosa avrei trovato alla fine del percorso formativo, mi sono appassionata sempre più fino a rendermi conto che, nonostante le innumerevoli difficoltà, essere un Operatore Socio Sanitario in realtà gratifica immensamente, perché non dimentichiamo che noi siamo un punto di riferimento di tutte le persone in difficoltà che richiedono cura, attenzione ,affetto ma anche un semplice sorriso in un periodo particolarmente delicato della loro vita; ma la sorpresa più grande si rivela  nel momento in cui ci rendiamo conto che sono gli utenti stessi a ringraziarci, a mostrarci affetto e gratitudine.
E, a tal punto, possiamo essere fieri del nostro lavoro  e continuare a credere nel nostro operato cercando, giorno dopo giorno, di migliorare sempre più, di valorizzare il nostro ruolo con professionalità ed etica affinchè la nostra figura ottenga il suo pieno riconoscimento nel settore socio – sanitario.
Anch’io come tutti voi, cercherò di fare la mia parte che, forse sarà una goccia nell’oceano? .
Ma come diceva Madre Teresa di Calcutta: “ QUELLO CHE NOI FACCIAMO E’ SOLO UNA GOCCIA NELL’OCEANO, MA SE NON CI FOSSE QUELLA GOCCIA , ALL’OCEANO MANCHEREBBE”. 

lunedì 21 marzo 2011

Il Metodo di lavoro (M. Caminati)

Il metodo del lavoro socio-sanitario
Dispensa a cura di Mara Caminati


Il lavoro è caratterizzato da uno scopo, cioè il senso dell’agire “perché faccio questo?”, A quale scopo? Come raggiungo questo scopo? In altre parole Chi fa Cosa? Come?, Quando?, Perché?.

Sulla risposta a queste domande si fonda il metodo del lavoro

Le fasi del lavoro

Raccolta dati l’operatore deve mettere in atto la sua capacità di ascolto delle domande esplicite e implicite, che l’utente può manifestare.
Per una corretta raccolta dati è necessaria una buona osservazione oggettiva.


Per arrivare alla formulazione del PAI dobbiamo seguire alcune fasi:

Per leggere per intero e scaricare la dispensa in PDF clicca sul seguente link: http://issuu.com/il-metodo-di-lavoro-caminati

Il tema motivazionale (G. Masera)

Aver cura della relazione per sostenere la motivazione professionale 

Il tema motivazionale è assai complesso, incontrare la motivazione significa infatti incontrare un individuo in tutta la sua unicità. Per tenere la motivazione al centro delle politiche di gestione è necessario mettere l’individuo al centro: questo è il messaggio che proviene dalle “buone pratiche” per sostenere e promuovere la motivazione in organizzazione. Mettere l’individuo al centro significa anche comprendere che non esistono regole univoche e generalizzate che consentono di sostenere sempre e ovunque la motivazione al lavoro: si tratta di volta in volta di ricercare le modalità più adeguate a corrispondere ai bisogni, ai desideri, ai progetti espressi dagli individui (da ogni singolo individuo) in funzione della loro storia personale e della storia della loro presenza in organizzazione. Se motivare significa mantenere l’individuo al centro, sarà la“forza” relazionale che l’organizzazione è in grado di esprimere a risultare fondamentale: la motivazione risulterà decisiva in quelle organizzazioni in cui sono forti (strette, aperte, autentiche, vicine) le relazioni.

Buone pratiche per motivare

In organizzazione sono spesso compresenti differenti idee a proposito delle azioni da intraprendere per sostenere e promuovere le motivazioni degli individui. Alcune teorie  sostengono  che il principale elemento per sostenere e promuovere la motivazione al lavoro sia il denaro e di conseguenza investono molto tempo nella messa a punto di piani per l’assegnazione di incentivi economici. Altre teorie ritengono che le persone siano motivate da una positiva considerazione sociale e si assicurano che tutti i collaboratori abbiano l’opportunità di lavorare in gruppo e ottenere riconoscimenti pubblici. Altri ancora pensano che i lavoratori desiderino maggiori responsabilità e opportunità per diventare più competenti e agiscono alla fine di incrementare il livello di delega. I principali aspetti legati alla motivazione possono ricondursi ad alcune  tappe fondamentali: la progettazione delle attività, la comunicazione, gli obiettivi, la valutazione, la partecipazione , l’integrazione sociale,la retribuzione, l’apprendimento, la soddisfazione, la differenza. Tra queste buone pratiche nessuna può essere considerata “necessaria e sufficiente” ovvero risolutiva: tutte possono contribuire allo scopo in misura minore o maggiore in funzione del contesto e della sua storia ma nessuna è così importante da rendere superfluo il presidio delle altre. L’analisi di queste dieci aree di presidio può essere importante per realizzare l’analisi di un contesto di lavoro a partire dalla metafora del campo di forze suggerita da Lewin (1936) ovvero per individuare gli elementi che - in un dato contesto e in un dato momento - favoriscono oppure ostacolano l’espressione della motivazione al lavoro da parte delle persone che operano al suo interno.

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Motivazione e integrazione (R. Dapero)

Motivazione e Integrazione
Dispensa a cura di Renato Dapero


1- Disposizione d’animo
Apriamo con una questione complicata  perché non si tratta semplicemente di implementare le conoscenza indispensabili per svolgere efficace-mente il proprio ruolo professionale. Si tratta di sviluppare la passione per il proprio lavoro nella propria posizione organizzativa nel rispetto delle competenze degli altri operatori. Alla fine ognu-no deve scoprire il desiderio e il piacere di fare bene il proprio lavoro, immettendovi il meglio delle proprie disposizioni naturali.
Dobbiamo ricordare che il lavoro è stato sempre il fulcro fondamentale di ogni società umana. Senza lavoro non ci sarebbe stata evoluzione sociale. Si può dire in sintesi che la vita dipende dal lavoro nel quale peraltro ogni essere umano esprime buona parte della sua personalità.
Il lavoro dunque è importante, ma in sé e per sé, non è tutto. La vita non si identifica col lavoro in senso stretto, ma comprende anche i grandi sentimenti. La felicità si riceve attraverso i beni materiali, ma anche con le attività spirituali e culturali. Vale la pena di ricordare in proposito che nella lingua degli antichi Romani c’erano due vocaboli per indicare la felicità. Felix = felice per abbondanza di beni e Beatus = felice per uno stato d’animo di intima beatitudine. Oggi alla parola felicità facciamo corrispondere la sintesi dei due significati e quindi la felicità è frutto del raggiungimento di buone condizioni materiali, garantite dal lavoro e in particolare dal reddito che il lavoro produce e del raggiungimento di una predisposizione d’animo favorevole rispetto alla vita. Ma poiché il lavoro occupa una quota rilevante del nostro tempo di vita, una buona disposizione d’animo verso il lavoro è condizione imprescindibile per il raggiungimento della felicità.

Per leggere per intero  e scaricare la dispensa in PDF clicca sul seguente link:  http://issuu.com/motivazione-e-integrazione-dapero

venerdì 8 ottobre 2010

Cultura organizzativa -1

Cultura organizzativa


Il concetto moderno di cultura può essere inteso come quel bagaglio di conoscenze ritenute fondamentali e che vengono trasmesse di generazione in generazione. Tuttavia il termine cultura nella lingua italiana denota due significati principali sostanzialmente diversi appartenenti a due distinte concezioni:

• Una concezione umanistica che presenta la cultura come la formazione individuale, assumendo quindi anche una valenza quantitativa, per la quale una persona può essere più o meno colta.

• Una concezione antropologica che presenta la cultura come il variegato insieme di costumi, credenze, che caratterizzano sia l’individuo sia la collettività di cui fa parte. In questo senso il concetto è ovviamente declinabile al plurale, presupponendo l'esistenza di diverse culture, e tipicamente viene supposta l'esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o semplicemente raggruppamento sociale significativo dotato appunto di una identità culturale.

Alcuni usi tipici del termine, nella vita quotidiana, possono essere utili ad indicar l’estensione semantica del concetto:

• ”Ci sono enormi differenze culturali tra Oriente e Occidente”.

• ”Umberto EcoUmberto Eco è una persona di grande cultura”.

• ”La musica pop è usata dai gruppi giovanili per affermare la loro identità culturale”.

• ”La cultura di massa ha un effetto di omologazione”.

• ”La cucina italiana è parte della tradizione culturale del nostro Paese”.

• ”Il dialogo tra le culture è necessario, ma difficile”.

Esistono quindi diversi significati del concetto di cultura:

• Secondo una concezione classica la cultura consiste nel processo di sviluppo e mobilitazione delle facoltà umane che è facilitato dall'assimilazione del lavoro di autori e artisti.

• Secondo una concezione antropologica la cultura - o civiltà - presa nel suo più ampio significato etnologico è “quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro della società”

Negli anni, la definizione antropologica di Cultura si è molto evoluta. Si va da (Così l'antropologo Ulf Hannerz), "una cultura è una struttura di significato che viaggia su reti di comunicazione non localizzate in singoli territori" alla definizione dell’UNESCO che considera la cultura come "una serie di caratteristiche specifiche di una società o di un gruppo sociale in termini spirituali, materiali, intellettuali o emozionali".

La cultura in senso antropologico consiste in:

• Sistemi di norme e di credenze esplicite, elaborati in modi più o meno formalizzati.

• Costumi e abitudini acquisite da esseri umani per il semplice fatto di vivere in determinate comunità, comprese quindi le azioni ordinarie della vita quotidiana.

• Artefatti delle attività umane, dalle opere d'arte vere e proprie agli oggetti di uso quotidiano e tutto quanto fa riferimento alla cultura materiale, al sapere necessario per vivere.

Le caratteristiche che definiscono la cultura nella concezione descrittiva dell'antropologia sono principalmente tre:

• La cultura è appresa e non è riducibile alla dimensione biologica dell'uomo. Ad esempio il colore della pelle non è un tratto culturale bensì una caratteristica genetica.

• La cultura rappresenta la totalità dell’ambiente sociale e fisico che è opera dell'uomo.

• La cultura è condivisa all'interno di un gruppo o di una società. Essa è distribuita in maniera omogenea all'interno di tali gruppi o società.

Perché un'azione o un tratto possano essere definiti "culturali" occorre quindi che siano condivisi da un gruppo. Ciò però non significa che un fenomeno "culturale" debba essere obbligatoriamente condiviso dalla totalità della popolazione: è necessario lasciare spazio per la normale variabilità individuale.

Bisogna ricordare che “Cultura” è una parola che più di altre è a rischio di interpretazione lavorando con le organizzazioni. Alla parola si potrebbe associare l’idea di teoria che si differenzia dal fare pratico e concreto delle nostre aziende, oppure a tutte quelle iniziative, mostre, musei, esposizioni, libri, ai quali l’azienda può partecipare con il suo contributo per un ritorno di immagine o per comunicare la sua partecipazione responsabile alle attività del territorio. In realtà cultura organizzativa è l’insieme di tutte quelle modalità di agire e quei valori che un’organizzazione esprime quando opera e quando decide. E’ la cultura ed i valori dei suoi fondatori o delle persone di successo che hanno influenzato e influenzano i modi in cui un’organizzazione opera. La gestione del potere, il ruolo dato alla gerarchia, le modalità di comunicazione, l’approccio più individualistico o di squadra, più competitivo o collaborativo, l’autonomia e la delega sono tutte variabili che connotano una cultura aziendale e differenziano un’organizzazione da un’altra. La cultura di un’organizzazione è data da quegli elementi che si sono consolidati al suo interno in base alle esperienze di successo che hanno segnato il gruppo. Se la si va a cercare può essere trovata a vari livelli, quello più apparente, che può essere rilevato dall’osservatore esterno, quello che può essere registrato dalle dichiarazioni di chi vive il gruppo/organizzazione analizzata ed un livello ancora più profondo, ma più importante, che spesso non è evidente neanche a chi vive quella cultura. Potrebbe sembrare una dimensione da studiosi e poco concreta, ma la base culturale di un’azienda è fondamentale invece per governare i processi di cambiamento, la gestione delle competenze, l’innovazione, l’integrazione di persone. Influenza il modo in cui si pensa, si decide e si agisce, è il riferimento che dà significato e rende prevedibile l’evoluzione quotidiana.

Nell’organizzazione (cultura d’impresa) un’accreditata teoria distingue tre livelli di cultura: artefatti, valori dichiarati e assunti taciti .

ARTEFATTI = è ciò che si può cogliere coi sensi girando per l’organizzazione. è ciò che si vede o sente, ciò che si può cogliere facilmente come l’essere un’azienda formale o informale, che privilegia il lavoro di gruppo o meno con apparati tecnologici

VALORI DICHIARATI = la vision dichiarata dell’organizzazione, ma anche le storie dell’azienda (del fondatore o altri soggetti carismatici) le spiegazioni che vengono date del perché si opera in un crto modo

ASSUNTI TACITI CONDIVISI = valori e principi su cui poggiano le convinzioni esplicite dei valori dichiarati